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CIAO MAURIZIO.

Maurizio Costanzo: se ne va il giornalista onnivoro che ha fatto la storia della televisione.


Che la morte di Maurizio Costanzo, esattamente come quelle, prima di lui, di Raffaella Carrà e Piero Angela, colpisca tutti come un fulmine a ciel sereno è solo la dimostrazione di come la televisione sia in Italia e non solo un mezzo di persuasione potentissimo. Proprio la tv tradizionale, in un mondo che sembra spingere verso la frammentazione dello streaming, ci ricorda come siamo immersi in questa memoria condivisa e generalista, una memoria che colossi come Costanzo hanno contribuito a consolidare e al tempo stesso a sovvertire e rivoluzionare. "Spero semplicemente di essere ricordato come una brava persona che ha fatto un programma durato quarant’anni”, diceva di sé con malcelata modestia, ma in realtà è stato molto più di questo.

Costanzo è sempre stato un professionista che divorava ogni interesse e occasione che gli capitasse a tiro: spinto dall'emulazione dello zio cronista, iniziò come volontario nel quotidiano Paese Sera (esordendo con un “reportage sul giro del Belgio. Firmai Maurice Constance"), per poi proseguire una carriera inarrestabile.


Ha lavorato in radio e poi in tv, ma anche scritto opere teatrali, composto il testo celeberrimo di Se telefonando di Mina, contribuito alla sceneggiatura di Una giornata particolare di Ettore Scola, diretto La Domenica del Corriere, fondato il quotidiano L'Occhio, gestito teatri e rassegne culturali, fatto il testimonial per le camicie Dino Erre Collofit (lui che, lo prendevano in giro, il collo non ce l'aveva), firmato rubriche di cinema e di critica televisiva, diretto la collana Giallo Mondadori e ancora e ancora.



Nel frattempo ebbe una vita sentimentale molto vivace, con quattro matrimoni, l'ultimo dei quali con De Filippi: un'unione che sembrava improbabile, vessata da pregiudizi e pettegolezzi, tutti rispediti al mittente con la sincerità di un amore cristallino, vissuto nei fatti (quando in una puntata speciale Costanzo chiese ai numerosi ospiti chi di loro ammettesse di essere stato raccomandato, De Filippi fu tra le uniche ad alzare la mano: erano potenti anche nel non dover nascondere nulla). Delle donne, del resto, diceva: "Le ascolto. E le trovo più intelligenti degli uomini”.


Intuizione e ironia

Sul fronte professionale era instancabile, forse anche sfrontato. Fu un precursore in tutto e aveva un fiuto straordinario per i personaggi esordienti: nel 1967 in un teatro minore di Genova scova Paolo Villaggio, lo fa debuttare nel suo cabaret di Roma e poi in tv, dove l'attore sfodera il personaggio di Fracchia; nel 1977 promosse Così parlò Bellavista, permettendo a Luciano De Crescenzo di lasciare l'Ibm e dedicarsi alla scrittura e alla filosofia; nel 1984 importa in Italia il genere della sitcom con Orazio, accanto alla compagna di allora Simona Izzo.

Non si stancava mai di provare cose nuove e persino considerate folli: nel 2000, quando ancora non ci credeva nessuno, con Alessandro Benetton fonda la Maurizio Costanzo Comunicazione, intenzionata a comunicare l'immagine delle celebrità attraverso internet: sembra preistoria, erano solo 23 anni fa ma Costanzo era già nel futuro.



Perfezionò il modello del talk show all'americana scaldandolo con la sua verve tutta italiana, anzi romana, anche un po' luciferina: prima Bontà loro nel 1976 sulla Rai, poi dal 1982 il Maurizio Costanzo Show, dove in sostanza riscrisse per decenni le regole dei salotti catodici. L'alto e il basso, il politico e la soubrette, il caso sociale e l'intellettuale incompreso, ma anche il fenomeno da baraccone, l'outsider, i provocatori di professione, e ancora preti, missionari, pornodive, insegnanti, poeti e poetesse. Per il critico Gian Paolo Caprettini Costanzo era il “pontefice dell'interruzione”, perché faceva parlare tutti in modo apparentemente libero e scomposto, ma lui sapeva intervenire fulmineo, tagliente e riportare la conversazione nel seminato che aveva in mente.

Il “State bbboni” con cui blandiva i focalai di rissa è divenuto un po' la sua frase celebre, ma è anche il marchio di fabbrica di un giornalista che sapeva gestire le parole, soprattutto quelle altrui (altra sua frase celebre: “consigli per gli acquisti", entrata nell'immaginario comune come il sipario del Teatro Parioli o il compianto Franco Brancardi al pianoforte in tuxedo bianco).


Era decisamente un uomo potente: nelle sue varie incarnazioni è stato direttore di Canale 5, direttore di giornali, consulente di Rutelli ma poi anche di Raggi e nessuno gli fece mai dimenticare il fattaccio dell'iscrizione alla loggia massonica P2, che prima smentì, poi svicolò ("iscritto per sbaglio", ma poco prima era riuscito a strappare un'intervista clamorosa al fondatore Licio Gelli) e infine rimpianse come uno degli errori più eclatanti della sua vita. La sua però era un'influenza che il pubblico non ha mai percepito come truffaldina, prevaricatrice: “Per gestire il potere occorre una dose di cattiveria. Quella ce l’ho e credo si veda nelle interviste. Ma la cattiveria è anche rispetto verso l’intervistato”, raccontava lui. 


Non stupisce che il suo Costanzo Show sia appunto andato in onda per 40 anni, in continuità fino al 2009 e poi con varie interruzioni e rimodulazioni dal 2015 al novembre 2022.

Fu un tempio di assurdità e libertà insieme, dove si sono consumate e celebrate anche le più grandi contraddizioni del nostro paese ("Continuo a contraddirmi, a raccontare prima di vivere", diceva di sé stesso).


Anche nei momenti più critici del ventennio berlusconiano, sulle reti di proprietà di Silvione nazionale (che nel 1984 aveva acquisito la Rete4 di Mondadori dove andava in onda il programma di Costanzo: “Comprò tutto, con me dentro”, disse lui), sfilavano politici di ogni colore: “Si arrabbiò solo due volte, quando invitai Alessandro Di Pietro, ma non me lo disse mai direttamente”, ha ricordato il giornalista Nel 1991 ci fu la maratona Rai-Fininvest contro la mafia, organizzata con Michele Santoro, in cui Costanzo bruciò in diretta una maglietta con scritto "Mafia made in Italy": non fu solo un esperimento televisivo inaudito e rivoluzionario - mettere insieme tv di Stato e il “nemico” privato e commerciale - ma anche un affronto che quasi gli costò caro, visto che nel 1993 sopravvisse a un attentato dinamitardo poco distante dal Teatro Parioli.


In vita intervistò chiunque, da Pasolini ad Andreotti ("Mi disse: ‘Pensa che due miei compagni di scuola sono diventati cardinali; loro sì che hanno fatto carriera'"), da Curzio Malaparte - da cui prese la passione per i bassotti - a Donald Trump e Gheddafi.


Memorabile e struggente una sua intervista ad Alda Merini, figura antitelevisiva che lui trasformò in un'icona pop dolente, soprattutto quando confessò degli elettrochoc con cui pretendevano di “curarla”: “È stata una delle grandi voci del Novecento. La salvammo dallo sfratto”, ricordò lui.  Costanzo fu anche tra i primissimi a ospitare Gino Strada, fresco di fondazione di Emergency, e oggi la figlia Cecilia Strada ricorda come proprio l'apparizione televisiva scatenò un tan tan di proposte d'aiuto.

Le voci e i personaggi

Molti personaggi furono inventati proprio nel suo salotto televisivo: Enzo Iacchetti, Giobbe Covatta, Vittorio Sgarbi, Platinette, Pierluigi Diaco; fu tra i primi a dare voce a Vladimir Luxuria e quindi a parlare di persone transgender in tv.  


Come col Sole e la Luna, però, accanto al Costanzo Show l'altra pietra miliare della sua carriera a Canale 5 fu Buona Domenica, condotta dal 1985 prima in alternanza con Corrado e poi da solo, accerchiato però sempre da tanti colleghi che coltivava ed esaltava, da Fiorello a Claudio Lippi, da Paola Barale a Luca Laurenti e Demo Morselli. Se nella seconda serata settimanale era il giornalista eclettico e serio, la domenica pomeriggio si trasformava nell'uomo di televisione che raccontava un mondo vario e variopinto, che si permetteva di suonare in libertà il saxofono (sua grande passione), di invitare persone comuni ma con abilità straordinarie (come dimenticare la signora che sapeva a memoria tutti i prefissi telefonici di ogni comune italiano?), ma anche cartomanti, angelologhe, e dove contribuiva a creare personaggi nonsense ma spassosi come il Cangurotto.


Col passare degli anni non poté però che assecondare l'ondata dei reality, in primis il Grande Fratello: all'inizio il suo acume nobilitò personaggi valevoli come Pietro Taricone, e riuscì a raccontare con tatto il pur bizzarro coming out di Rocco Casalino (il cui futuro da 5stelle era ancora insondabile). Poi anche lì gli argini cedettero. Agli albori degli anni Dieci Maurizio Costanzo dovette comprendere che la sua televisione era, nella sua essenza più pulita e narrativa, in fondo tramontata.


Chiuso temporaneamente il suo Show, tornò dopo trent'anni in Rai anche qui sperimentando qualsiasi fascia oraria, dal preserale di Rai 2 alla notte fonda di Rai 1, per non parlare delle rubriche di Rai Premium.

Era ancora una volta onnivoro, instancabile, sempre quello “malato di tv, con dodici televisori accesi su dodici programmi diversi”. Il suo Costanzo Show tornò anni dopo, ma sostanzialmente per diventare meritatamente una reliquia, il fantasma di una televisione che è stata e che non è più, lontana dai format e dalle urla, dai video virali e dal circo degli ospiti promozionali. Era una televisione mondo, che aveva tutti i gusti, sapientemente orchestrati, esaltati, anche quelli più indigesti; come anche Costanzo era un giornalista mondo, talmente orizzontale da abbracciare tutti e tradire nessuno. Forse anche schiacciato, come un po' lo era pure nella vita, da una specie di ingordigia. Ma che a maggior ragione ce lo fa ricordare come un professionista raro, unico, assoluto.

Autrice: Benedetta Sbraccia.

 
 
 

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