Una riflessione (forse) banale su una situazione che banale non è.
Rivoli, Corchiano, Lonato del Garda e Brandizzo, purtroppo non un elenco casuale. Queste sono le realtà italiane in cui si sono consumati, negli ultimi giorni, dei gravissimi incidenti sul lavoro, capaci di causare la morte di sette lavoratori, oltre al ferimento grave di altri.
In Italia, nei primi sette mesi del 2023, le vittime del lavoro sono state 559, una tendenza in aumento di circa il 5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sono stati 430 i caduti durante l’esercizio della prestazione lavorativa, mentre 129 è il dato relativo alle vittime in itinere, ossia coloro che perdono la vita parallelamente alla professione, ad esempio sulla strada per raggiungere il luogo di lavoro.
Un dato, per usare un eufemismo, da definire allarmante, sintomo ormai palese di un problema gravoso per il Paese, purtroppo affrontato da tempo esclusivamente a parole. Si continua a morire, nonostante le innovazioni in tecnologia e sicurezza, nello stesso barbaro modo rispetto ad anni fa. È inaccettabile che ogni giorno ben 3 persone non facciano più rientro a casa dopo essere uscite per andarsi onestamente a guadagnare il pane.
È evidente come ci siano delle falle macroscopiche riguardo al sistema di verifica della corretta applicazione delle normative in tema di sicurezza sul posto di lavoro, tali da lasciare alcune leggi come carte fini a loro stesse, senza alcun positivo riscontro nella quotidianità. Del resto, secondo dati del Sole 24 Ore aggiornati al 2022, gli ispettori del lavoro sono appena 3.500 su tutto il territorio nazionale.
Non possiamo più consentire che l’unica misura di sicurezza, adottata nei confronti di alcuni lavoratori, sia l’affidarsi a Dio e pregare che tutto vada bene, perché, come possiamo constatare, troppo spesso queste preghiere non vengono accolte e i lavoratori, quasi sempre per cause a loro non imputabili, si trovano a doverne pagare, in svariate occasioni con la loro stessa vita, le conseguenze.
Proprio questo è il ragionamento sviluppato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il giorno seguente alla strage di Brandizzo quando, a Torre Pelice, ha affermato come morire sul lavoro sia un oltraggio alla convivenza.
Non solo, ogni vittima del lavoro è un oltraggio all’Italia tutta, ai suoi valori e alla sua carta costituzionale che, proprio nel suo primo articolo, ci mostra l’immagine di come il lavoro debba essere, secondo gli ideali dei costituenti, il perno attorno al quale vada a ruotare l’intera Repubblica.
Sconfiggere la piaga delle morti sul la voro, dovrebbe essere una battaglia in grado di unire ogni cittadino italiano. È giunta l’ora di pensare a nuovi interventi normativi, magari anche a carattere comunitario, per arginare questo fenomeno, così da poter restituire ai lavoratori sicurezza e soprattutto dignità.
Non possiamo più permetterci di assistere silenziosi a questa inesorabile, e apparentemente inarrestabile, strage degli innocenti. Dobbiamo tornare a ragionare sul principio dell’articolo 35 della Costituzione, e lavorare affinché la Repubblica possa essere veramente in grado di “tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”.
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