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LA TRAVIATA COMPIE 170 ANNI

IL FLOP CHE NON VENNE CAPITO: ECCO LA SUA STORIA.



Ieri il mondo del Teatro e della Musica ha festeggiato un importante anniversario: sono trascorsi centosettanta anni da quando, in quel lontano 6 marzo 1853, La Traviata di Giuseppe Verdi debuttò al teatro “La Fenice” di Venezia.

È senza dubbio una delle opere liriche più celebri e amate al mondo, forse per la sceneggiatura  sontuosa, forse per le arie cantabili e appassionate o forse per il libretto avvincente e - ai tempi - scabroso.



Questi sono, probabilmente, i versi più famosi che il librettista Francesco Maria Piave ha scritto per La Traviata, e che ancora oggi, dopo oltre un secolo e mezzo, immancabilmente risuonano nei teatri d’opera d’ogni dove alla notte di San Silvestro. Con l’esortazione ad amare e l'invito a cogliere l’attimo effimero della vita e della bellezza, l’intero salotto di Violetta Valery leva i calici brindando coralmente al gaudio e al piacere del vino.

Godiam, fugace e rapido il gaudio dell'amore

È un fior che nasce e muore, né più si può goder

Godiam, c'invita, c'invita un fervido accento lusinghier.


Eppure, il successo di cui gode oggi La Traviata, non è stato subito riconosciuto.

Infatti, al suo debutto, fu un vero “flop”, come diremmo oggi nel linguaggio del marketing. Il pubblico veneziano disapprovò l’opera con fischi e contestazioni.



Reduce dai successi di Rigoletto e de’ Il Trovatore (opere appartenenti alla stessa trilogia popolare di cui La Traviata ne è terza e ultima), Verdi ha patito un fallimento clamoroso ma in parte atteso. Lo stesso gennaio del ’53 aveva portato in scena a Roma Il Trovatore accolto con grande successo dal pubblico; così, sia per brevità di tempi di creazione, sia per una cattiva scelta degli attori interpreti, sia per il soggetto scandaloso, La Traviata non venne capita.


All’indomani del 6 marzo Verdi commentò: “La Traviata, ieri sera, un fiasco. La colpa è mia o dei cantanti? Il tempo giudicherà”.


Appena un anno dopo, sempre a Venezia, ma con qualche rimaneggiamento e un nuovo cast, l’opera venne rimessa in scena ed ebbe finalmente il successo che meritava.

Possiamo dire che il tempo ha giudicato e che la colpa del flop della prima rappresentazione non può essere certamente imputata a Verdi.


E Verdi non si ferma.

Negli anni successivi continuerà a produrre numerose altre composizioni operistiche del calibro di “I Vespri Siciliani”,Un ballo in maschera”, “Otello”, “Aida” - soltanto per citarne alcune.

La sua attività, nella seconda metà dell’Ottocento, era ormai riconosciuta e acclamata, anche oltralpe; a Parigi ad esempio, in quel periodo città culla della arti e da Verdi stesso frequentata.


Ma è in Italia che la figura di Verdi ha inciso ampiamente, investendo anche la società e la politica: deputato, senatore e Cavaliere di Gran Croce del Regno d’Italia simpatizzò con i moti risorgimentali, incarnando i desideri di un’Italia unita e libera. Tali valori filtrarono anche nella sua attività musicale e nei soggetti delle opere. Ciò è esemplare nell’Attila (1846) nella quale, mutatis mutandis, il personaggio romano Ezio, rivolgendosi ad Attila afferma: “Avrai tu l’universo, resti l’Italia a me!” E ancora Foresto: “Cara Patria, dall’alghe di questi marosi, rivivrai più superba e più bella”. Esclamazioni che seppure nella trama dell’opera fossero lontane nel tempo, allora apparivano quanto più attuali.


Alla sua morte, avvenuta nel gennaio del 1901 a Milano dopo ottantotto anni di vita intensa, Verdi lascia alla musica e al genere d’opera un’eredità pesantissima e luminosa, intessuta di composizioni uniche che, insieme a quelle di molti altri suoi colleghi musicisti di eccezionale livello, rendono l’Italia leader al mondo nel genere operistico.

C’è chi ancora oggi sostiene dover essere l’aria del Va’ Pensiero (dell’opera Nabucco) l’inno d’Italia, proprio in virtù di ciò che Verdi, con la sua figura, ha rappresentato in quei decenni delicati per la formazione del nostro Paese e per i messaggi che quel testo, ancora una volta mutatis mutandis, comunica.

È il caso, pertanto, di riprendere il motto risorgimentale e usarlo oggi nel suo senso prettamente letterale e gridare: VIVA VERDI!

Autore: Gianluca Galdenzi.



 
 
 

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